Seconda parte dell’intervista sul narcisismo pubblicata su pazienti.it

Quali sono i sintomi del narcisismo?

 Scegliendo di seguire la linea dell’introduzione ci è possibile riformulare questa domanda in: “Quali sono le caratteristiche distintive del narcisismo?”

Nel suo libro, Dimaggio afferma che, per comprendere se una persona è affetta da narcisismo, è importante osservarne il comportamento, ma ancor più fondamentale è il comprenderne l’esperienza interna.

Nell’esperienza clinica reale, non sono l’egoismo o l’ego pompato di steroidi o l’ambizione ad avere il sopravvento, come si è erroneamente portati subito pensare. Quelli ci sono, ma la vera essenza del narcisismo risiede in altre componenti.

Tra le più importanti, quella che è più facile da riconoscere è senz’altro la rabbia. Quella forza distruttiva che il narcisista è in grado di usare come reazione, più istintiva che pensata, che si attiva quando la fiducia e l’autostima verso se stesso sono sotto attacco. Vivere con questa rabbia è una vera e propria condanna per il narcisista, il quale viene del tutto privato delle sue energie per alimentarla.

Il disprezzo è lo strumento con il quale cercherà di gestirla, diventando l’arma di elezione verso chi verrà sorpreso a non volgere verso di lui il necessario sguardo di ammirazione. È lì, in quel modo di guardare con disprezzo l’altro, che si coglie l’apice della superiorità di un narcisista, non quando esso ottiene un successo (il narcisista non gode dei successi come potremmo credere e questo è parte del suo malessere). È in quello sguardo e quella disapprovazione che il narcisista riesce a sentirsi parte di una comunità di eletti.

La rabbia e il disprezzo giocano un ruolo fondamentale nell’esperienza interna del narcisista: servono a tenerlo lontano da il vuoto, ovvero quello stato di annullamento e di apatia in cui ogni cosa per lui diviene insapore e ovattata. Quando non è animato dalla competizione, il narcisista è lì, in una stanza mentale vuota dove si chiude per rifugiarsi, privo di ogni capacità di azione. In questo stato, ciò che viene a mancare è quello che secondo la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) è il senso di agency, il sentirsi appartenere quella animosità che tutti proviamo quando siamo orientati verso obiettivi sani e soddisfacenti.

Dopo questa premessa, ora, è possibile dare un senso maggiore a ciò che anima la spinta alla scalata continua del narcisista e la sua ricerca di grandiosità: è il percepire sempre alle spalle come unico risultato di un fallimento quella che Dimaggio definisce l’esperienza dell’abisso. È nell’inevitabile conseguenza dell’errore, dell’incapacità a raggiungere le alte vette, che il narcisista sperimenta quel senso di vulnerabilità e vergogna dovuta al fatto che l’altro scopra che tutta la sua esistenza non è altro che un bluff.

Nel nostro piccolo viaggio nella comprensione del narcisista è comunque opportuno integrare l’inquadramento dell’attuale DSM5 (il manuale diagnostico statistico), andando a vedere i criteri con cui è possibile fare diagnosi di Disturbo di Personalità Narcisistico.

Un pattern pervasivo di grandiosità (nella fantasia o nel comportamento), necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

  1. Ha un senso grandioso di importanza (per es., esagera risultati e talenti, si aspetta di essere considerato/a superiore senza un’adeguata motivazione).
  2. È assorbito/a da fantasie di successo, potere, fascino, bellezza illimitati, o di amore ideale.
  3. Crede di essere “speciale” e unico/a e di poter essere capito/a solo da, o di dover frequentare, altre persone (o istituzioni) speciali o di classe sociale elevata.
  4. Richiede eccessiva ammirazione.
  5. Ha un senso di diritto (cioè l’irragionevole aspettativa di speciali trattamenti di favo­re o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative).
    6. Sfrutta i rapporti interpersonali (cioè approfitta delle altre persone per i propri scopi).
    7. Manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri.
    8. È spesso invidioso/a degli altri o crede che gli altri lo/a invidino.
    9. Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti, presuntuosi.

Seguendo questi criteri, soprattutto per chi volesse attuare un intervento clinico verso questi pazienti, è possibile restare forviati, sviluppando un’interazione dove potrebbe apparire sensato il provare a ridurre il senso di grandiosità assieme al cercare di far sviluppare un empatia verso il prossimo, ma ciò costituirebbe soltanto l’intervento più efficace per far uscire per sempre dalla stanza della terapia il narcisista.

Dove deve mirare allora un intervento efficace? La comprensione degli schemi interpersonali di funzionamento di questi pazienti ci permette di individuare la giusta direzione da percorrere, seguendo il principio del “prima comprendere, poi intervenire”.

È opportuno ricordare che il disturbo di personalità narcisistica fa ovviamente parte della categoria diagnostica più sovraordinata dei disturbi di personalità (DP). Non è possibile pertanto fornire un’idea precisa di questo disturbo. ascrivendolo semplicemente a una serie di sintomi specifici, occorre una prospettiva in grado di rappresentare e definire il quadro in modo molto più esaustivo.

È assolutamente corretto riportare la presenza di una tipica sintomatologia (riportata nel DSM5), che tende a presentarsi in co-occorenza alla presenza di un DPN, difatti essi sono inclini alla depressione e ai disturbi bipolari, è possibile che si sviluppi un rischio di suicidalità in tarda età, la presenza di abuso di alcol e sostanze e di disturbi alimentari (sotto svariate forme) non è affatto rara.

È altrettanto importante però precisare che spesso questa sintomatologia si presenta come il risultato di un fallimento del funzionamento della persona per via delle modalità e delle aspettative che esercita nelle sue aree di vita: relazioni, lavoro, socialità.

Come avviene questo?

Ognuno di noi è guidato nelle sue azioni da un repertorio di schemi interpersonali (“Terapia Metacognitiva Interpersonale dei disturbi di personalità”, Dimaggio, Popolo, Montano e Salvatore, 2013). Tali schemi hanno funzione di fornirci, in presenza di un nostro obiettivo, una previsione su come reagiranno gli altri in risposta ai nostri desideri provati e le possibili strategie da mettere in atto qualora non dovessero essere soddisfatti.

La possibilità che possa attivarsi uno schema piuttosto che un altro ha influenze sullo stato di piacere e appagamento della persona e della qualità dei suoi stati mentali e, cosa ancora più importante, su i livelli di autostima. Quando ci si muove nel contesto delle relazioni sociali è facile sentire il bisogno di una guida, un punto di riferimento, informazioni che ci dicano che risposta aspettarsi: l’interfacciarci con il capo desiderando una promozione o con una persona che vorremmo invitare a cena ne sono solo un minimo esempio.

Quando l’ambiente non ci offre sufficienti informazioni (o non siamo in grado noi di coglierle) entrano in gioco gli schemi interpersonali. Uno schema “sano” consente all’individuo di far fronte ad aspetti problematici tipici della vita: obiettivi minacciati, rifiuti sociali, attacchi all’autostima, sviluppare e coltivare le relazioni ecc.

Come nasce uno schema? Nelle nostre primissime esperienze di vita avviene inevitabilmente di ritrovarsi in una situazione di difficoltà: fame, stanchezza, paura ecc. Si attiverà un bisogno al quale le nostre figure di riferimento, quasi sempre i genitori, forniranno una risposta coerente o non coerente alla nostra necessità. Nel primo caso, il sollievo sarà abbastanza immediato, e questo ci aiuterà a interiorizzare una percezione di noi come amabili e accuditi e degli altri in grado di comprendere le nostre necessità e soddisfarle. In caso contrario, l’esito sfavorevole, darà via alla possibilità di sviluppare degli schemi interpersonali meno adattivi.

Se parliamo, quindi, di disturbi di personalità, vuol dire che stiamo considerando un malfunzionamento di questi schemi, dove funzioni importanti della persona attivi durante l’esperienza interpersonale possono essere compromesse:

  • Filtro delle informazioni in entrata. A cosa decidiamo di dare importanza rispetto ciò che accade e ci circonda.
  • Previsione del futuro. Cosa aspettarsi dagli altri o cosa pensiamo di meritarci.
  • Lettura delle intenzioni degli altri e decodifica del loro comportamento. Come e perché qualcuno sta agendo in un certo modo.
  • Orientare il comportamento degli altri. La nostra previsione su gli altri che ci predispone ad un atteggiamento verso di loro che sarà a sua volta di generare con più probabilità una risposta attesa.

Il narcisista non fa eccezione a questo, anzi, gli schemi di questo disturbo di personalità hanno delle caratteristiche alquanto specifiche e distintive.

Seguendo questa impostazione, diviene possibile arrivare a formulare una comprensione e una capacità di intervento in grado di andare ben oltre da ciò che emergerebbe da una semplice diagnosi formale.

Dimaggio nel suo libro descrive tre categorie di schemi principali.

  • Schemi legati al blocco dell’autonomia. Si parla del concetto di agency. Avviene che il narcisista non è attivato verso i suoi obiettivi (spesso grandiosi) da desideri interni che riesce a scovare dentro di sé, ma piuttosto da una ricerca continua di ammirazione da parte dell’altro. Viene da sé che, se questa dovesse mancare (cosa del tutto possibile), il narcisista non sarebbe in grado di promuovere in modo autonomo le sue azioni e soprattutto di orientarle verso sani aspetti edonistici: il gusto delle cose semplici o il piacere di coltivare una passione personale.
  • Schemi legati al valore personale: esaltazione reciproca. Avviene quando ci si riconosce speciali agli occhi di una persona “inarrivabile”, la quale però, dopo averci fatto vivere tale idillio, volgerà lo sguardo altrove. Il risultato: una rabbia che monta in un lento cammino disseminato di vendette che prende via via forma e spazio.
  • Schemi legati all’attivazione del bisogno di cure. L’ingrediente principale è come il narcisista vede se stesso: vulnerabile. Come vede l’altro? Pronto a colpirlo con critiche e svalutazioni se dovesse mostrare la sua debolezza. Il risultato? Stare male rinunciando alla possibilità di aiuto o conforto. Questo schema come vedremo è tra quelli che mina la possibilità per il narcisista di stabilire legami sani e duraturi nelle relazioni importanti. Dove si impara? Non è sbagliato pensare allo “zampino” di mamma o papà.

(continua)

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